Cenni Pietraperzia


Pietraperzia ,è un comune di 7.307 abitanti della provincia di Enna, nella Sicilia centrale.

Storia
Petra è l'antico nome; esistono insediamenti umani da oltre 5.000 anni, documentati da ben 50 siti preistorici sparsi per il suo territorio, popolata dai Sicani che controllavano il fiume Himera inferiore (più il Salso) dalla sua "porta" di ingresso costituita da Sabucina e Capodarso su cui Petra domina come una fortezza. A Pietraperzia è stata poi trasferita la popolazione di una colonia di Siracusa in Calabria chiamata Caulonia. Pietraperzia deve agli arabi sia il nome che la sua prosperità. A partire dal 1091 la Sicilia fu invasa dai Normanni, i quali favorirono il potere della chiesa romana che in breve prese il sopravvento su quella musulmana e si ritornò alle antiche consuetudini, precedenti l'invasione saracena. La tradizione narra che in quel periodo un muto viandante trovò in una contrada chiamata "La Cava", l'immagine murale della Madonna, ricevendone in dono la favella. Da quel giorno gli abitanti del luogo assunsero la Madonna come patrona principale di Pietraperzia e da allora ogni 14 e 15 agosto dell'anno hanno luogo festeggiamenti in onore della Madonna che venne chiamata appunto Madonna della Cava. Epoca aurea per Pietraperzia si può considerare il secolo sedicesimo quando i Barresi baroni della città assursero prima alla dignità di marchesi con Matteo III Barresi, il fondatore di Barrafranca (1529), e poi di principi con Pietro Barresi (1564). II castello di Pietraperzia loro abitazione diventò allora ambìto ritrovo di gente amante della cultura e della politica. La sorella di Pietro, Dorotea Barresi, fu viceregina di Napoli avendo sposato in terze nozze il viceré di Napoli, Giovanni Zunica. Con Pietro e Dorotea si estinse la dinastia dei Barresi, come signori di Pietraperzia, e subentrò quella dei Branciforte. Il primo marito di Dorotea era stato, infatti, Giovanni Branciforte, conte di Mazzarino, da cui era nato Fabrizio. Con la nuova dinastia cominciò per Pietraperzia un lento decadimento culturale che solo la presenza dei diversi ordini religiosi (Domenicani, frati Minori Francescani, Agostiniani, Carmelitani, Terz'Ordine Francescano), oltre che dei sacerdoti diocesani, riuscì a rintuzzare e a superare. Grave fu, invece, la crisi sociale che investì la città, culminando nella tragica costituzione di una banda armata da parte di Antonino Di Blasi, inteso Testalonga, il quale creò, in poco più di due anni di banditismo (1765-1767), un esteso clima di terrore in tutta la Sicilia. Ricatti e sequestri furono le armi più usate per colpire potenti e ricchi commercianti. Preso, dopo una spiata, venne impiccato a Mussomeli. Il moto rivoluzionario siciliano che investì la Sicilia nel 1848-49 coinvolse anche Pietraperzia. L'attività insurrezionale venne appoggiata dai notabili del paese anche con cospicue offerte in denaro. Nel 1860, durante la conquista della Sicilia da parte delle truppe garibaldine, il generale Afan de Rivera, comandante di una pattuglia dell'esercito borbonico in ritirata, passò per Pietraperzia e, trovando inalberata sulla torre del castello la bandiera tricolore e ritenendolo un grave affronto, ordinò ai suoi soldati di far fuoco sui civili, causando la morte di parecchi cittadini inermi. Due anni dopo (1862) le forze progressiste pietrine costituirono una sezione della "Società Unitaria", di ispirazione garibaldina, che aveva la sua sede centrale a Palermo. Essa aveva come scopo appoggiare le iniziative garibaldine tese a liberare i territori di Roma e Venezia, che ancora non facevano parte dell'Italia. A tal proposito promossero la venuta di Garibaldi a Pietraperzia, cosa che avvenne nell'agosto del 1862 con grande entusiasmo di molti Pietrini. Ma l'unità d'Italia non costituì la sperata soluzione dei problemi economici e sociali del popolo siciliano. Leggi esose e amministratori poco avveduti prepararono ciecamente la rivolta dei Fasci dei Lavoratori di ispirazione socialista. Un contributo di morti notevole diede Pietraperzia nel periodo in cui avvennero le sollevazioni più gravi. Il 1° gennaio 1894 il popolo, non sopportando più i dazi cui erano sottoposti i prodotti dei campi, dopo le parole infuocate di un sacerdote nella Chiesa Madre, si diresse con veemenza verso la Piazza Centrale e venne affrontata dalla polizia che sparò sulla folla, pagando a caro prezzo la rivolta con la morte di otto persone. La repressione statale successiva alienò completamente l'animo dei poveri verso il potere centrale. I bisogni spinsero molti ad abbandonare i propri paesi di origine e ad emigrare verso le Americhe, in particolare verso gli Stati Uniti d'America. Nel 1926 Pietraperzia entrò a far parte della nuova provincia di Enna, lasciandosi alle spalle il lungo legame politico e culturale con la provincia di Caltanissetta.

Cultura
Monumenti

La Chiesa di Santa Maria Maggiore

Interno ChiesaSanta Maria Maggiore

Interno ChiesaSanta Maria Maggiore

Interno Chiesa Santa Maria Maggiore

Costruita nel sedicesimo secolo da Matteo Barresi, nel diciottesimo secolo subì dei lavori di rifacimento che però non furono ultimati e che lasciarono incompleta la facciata della chiesa. L'interno si presenta molto curato nelle decorazioni parietali, cosa questa testimoniata dalla presenza di numerosi e pregiati stucchi ornamentali e da una fila di colonne veramente imponente. A rendere la chiesa ancora più affascinante sono le sculture realizzate dalla scuola gaginesca e diverse tele ritraenti immagini sacre. Per quanto riguarda quest'ultime sono da ricordare, per la particolare bellezza, le tele presenti all'altare maggiore, opera di Filippo Paladino (1544-1614). Su tutte di particolare bellezza è quella raffigurante la "Madonna in trono e Santi".

Il Venerdì Santo

Lu Signuri di li fasci

Lu Signuri di li fasci

Cristo nell'Urna

Maria SS. dell'Addolorata

La commemorazione religiosa più suggestiva ricorrente a Pietraperzia è, senza alcun dubbio, quella di "Lu Signuri di li fasci". L'anima di "Lu Signuri di li fasci" è una trave di legno di cipresso, terminante a croce. La trave è alta metri 8,50 con tutta "la vara". Essa viene portata all'esterno della chiesa del Carmine (dove ha sede) verso il tramonto del sole e lasciata in posizione orizzontale nello spiazzale antistante la chiesa stessa. Quindi nella parte alta della trave viene apposta una struttura metallica di forma circolare. Di lì a poco i fedeli si avvicinano alla croce e cominciano ad annodare al cerchio numerosissime fasce di tela di lino bianche della lunghezza di circa 32 metri e della larghezza di circa 40 centimetri. Per annodare la sua fascia il fedele deve presentare ai confrati responsabi1i un biglietto di iscrizione che serve per registrare il numero delle fasce. La funzione delle fasce sarà quella di consentire ai fedeli di mantenere in equilibrio la lunga asta di legno lungo il percorso processionale. Intanto, all'interno della chiesa del Carmine, si svolge un altro atto tradizionale di cui non si conosce 1'origine: un componente della confraternita tutto il pomeriggio è impegnato a stendere, sul corpo del Crocifisso, dei nastrini rossi, detti "misureddi" (piccole misure) che così benedetti, vengono, legati dai fedeli all'avambraccio. Poco prima dell'inizio della processione, viene posto in cima alla croce, Crocifisso antico e miracoloso. Commovente il sincronico passaggio del Crocifisso da una mano all'altra ("lu passamànu") dei confrati disposti a catena dentro la chiesa del Carmine; e ciò al fine di far pervenire il Crocifisso dal posto dov'è tenuto nel pomeriggio per la tradizionale benedizione di "li misurèddi", fino all'esterno dell'ingresso della Chiesa dove già la croce è pronta per essere innalzata. La gente, che si trova in chiesa si riversa fuori per assistere al momento della spettacolare "alzata" della grande croce. Nel mentre, i confrati, impegnati nell'atto rituale del passamano del Crocifisso, pregano gridando la giaculatoria: "Pietà e Misericordia, Signuri". Questa giaculatoria sarà ripetuta dai portatori della "vara",ogni volta che sono chiamati dal doppio colpo di un martello di legno (dato dal confrate-guida sul fronte interno del fercolo) a rimettersi sulle spalle il pesante carico. Ai piedi del Cristo in croce viene posto un globo a vetri colorati, simbolo del mondo e delle sue diversità, dominato dalla potenza salvifica di Cristo. Questo globo viene internamente illuminato da 4 lampade che ne fanno risaltare la sua policromia. La processione, che ha inizio abitualmente tra le 20.30 e le 20.45, si muove lentamente per alcune vie del paese. Le finestre e i balconi delle abitazioni che si affacciano su quelle vie sono gremite di persone. Apre il corteo processionale la confraternita Maria SS. del Soccorso, che cura la manifestazione. Quindi segue una delle tre bande musicali (due locali e una forestiera); poi "Lu Signuri di li fasci" e una folla immensa; viene dopo una seconda banda musicale e il simulacro dell'Urna col Cristo morto, i fedeli e ancora una terza banda musicale e la statua della Madonna Addolorata. Anticamente dietro "lu Cravàniu" (così era chiamato "Lu Signuri di li fasci") si ponevano tutti coloro che durante l'anno avevano ricevuto la grazia di una guarigione per se o per i propri congiunti; camminavano scalzi e con una catena di ferro ai piedi ("la prucissìoni di li malati"). L'artistica Urna col Cristo morto, viene portata a spalla da alcuni confrati, mentre altri li affiancano lateralmente tenendo in mano una torcia. Particolare fascino per il loro sapore di antico e per la caratteristica intonazione lamentevole esprimono le tristi nenie, la cosiddetta "Ladàta"- che i confrati cantano vagando per il paese o seguendo la processione. Esse sembrano dare sfogo al loro dolore per la morte in croce del Figlio di Dio. Le fasce bianche - che diventano fluorescenti per il riflesso della luce delle lampade impiantate sull'asse verticale della croce- viste da lontano danno ai presenti la sensazione di assistere ad un avvenimento miracoloso: la visione di una montagna alta e innevata, con sulla cima un Crocifisso che si muove da se. A questo punto non si può non parlare della pericolosità del trasporto di un così mastodontico simulacro. Pur essendoci le fasce, che hanno la funzione di equilibrare l'andatura dello stesso, tuttavia spesso, per la poca esperienza o per la disattenzione dei conduttori di fasce, si causano tali inclinazioni della trave da far temere e restare col fiato sospeso tutti gli astanti. Il grido preoccupato dei confrati responsabili ("Attrantàmmu li fasci!" cioè: Tiriamo con forza distendendo le fasce! ; oppure: "Allintammu li fasci!" cioè: Allentiamo le fasce! produce attimi di forte ansietà nei presenti. Questi momenti inattesi di "suspence" rendono ancora più suggestiva la processione, la cui durata compplessiva è di circa quattro ore con parecchie fermate e ripartenze comandate da un confrate, il quale battendo con un martello di gomma tre colpi sul tavolato della "vara", indica la partenza, battendone due da il segnale del riposo. La processione è estenuante, ma ricca di emozioni.

Il Castello


Il castello è ubicato sulle quote più alte della cresta rocciosa che domina il paese; su quei rupi a strapiombo dominanti la valle dell'Himera dove già in precedenza i Bizantini, i Romani, i Siculi e molto innanzi i Sicani avevano eretto opere di difesa, di culto e di misurazione astronomica.
La storia de Castello di Pietraperzia prende inizio dall’anno 1060, quando al seguito del conte Ruggero il Normanno, arriva in Sicilia Abbo Barresi, vassallo della casata degli Aleramici.
Conquistata l’intera isola, il conte volle ricompensare il suo fedele alleato donandogli alcune terre tra cui il territorio di Pietraperzia e Sommatino. La tradizione, infatti, vuole che sia stato Abbo I Barresi, a costruire il castello su concessione del Conte Ruggero; la notizia, però, manca di un riscontro documentario. E’ certo comunque che furono i normanni, negli anni precedenti la presa di Butera (tra il 1072 e il 1088), a ricostruire e ampliare quella che era stata una fortificazione islamica espugnata, adattandola alle nuove tecniche di difesa. Nel 1154, Edrisi , nel libro di Ruggero (Amari 1880-81, I, p, 102.), così descriveva il Castello Barresi: «Robusto castello e ben saldo fortilizio, ha i confini molto estesi». Furono le numerose grotticelle, siti di tombe preistoriche (o tombe castellucciane) scavate sulle pareti rocciose, presenti su tutto il territorio, a fare denominare il castello e il luogo come Pierre-percèe, in dialetto siciliano petri pirciati che significa "pietre forate". Come d'altronde avvenne per molti altri luoghi dell'Isola in epoca normanna, intorno al castello si formò anche un primo nucleo del paese, quello del quartiere "Terruccia ". Castello e "terra" di Pietraperzia rimasero demaniali anche sotto gli Svevi, nonostante il fatto che uno storico locale, frate Dionigi, vissuto nel XVIII secolo, sostenga che nel 1200 Federico II abbia concesso ad Abbo Barresi questa baronia per i suoi meriti. Certo è che nella prima metà del XIII la fortezza subì un'altra massiccia ristrutturazione ma fu solo nel primo periodo della dominazione aragonese, ch'essa fu concessa a un rappresentante della famiglia Barresi. Quando Pietro d’Aragona sbarcò a Trapani (1282) per rivendicare la corona in nome della moglie Costanza, i Barresi Enrico e Giovanni divennero suoi alleati. Alla morte del re Pietro d’ Aragona (1296), tra i suoi due figli, Giacomo e Federico, scoppiò una cruenta lotta per il potere (la "Guerra del Vespro"); in questa occasione i Barresi, si schierarono con Giacomo dalla parte degli Angioini, mettendo a disposizione dei Francesi i propri castelli tra cui anche il castello di Pietraperzia, che si dimostrò un baluardo imprendibile. Federico d’ Aragona mandò contro i Barresi i migliori capitani del suo esercito, ma il castello di Pietraperzia resistette egregiamente a tutti gli assalti fino a quando venne espugnato per fame da Manfredi Chiaramonte nel 1293. Vennero abbattute la torre della parte occidentale e gran parte delle altre mura. I Barresi, allora, furono mandati in esilio, e le loro terre confiscate. Castello e "Terra" di Pietraperzia passarono nel 1298 ai De Verga. Successivamente il feudo viene incamerato dal regio demanio per ritornare, nel 1320, ancora una volta a un Barresi, Abbo IV figlio di Giovanni, che sposa Ricca La Matina, dama della regina Eleonora. Con la pace di Caltebellotta, infatti, la Sicilia fu lasciata a Federico II il quale sposò Eleonora, figlia del re Angioino che divenuta regina, fece riabilitare i Barresi che ottennero la restituzione dei loro beni. Cosi nel 1320, Abbo Barresi, figlio di Giovanni entrava di nuovo nelle grazie di Federico. II rimpadronendosi del castello e delle terre che erano state confiscate al padre. Abbo Barresi abitò con la moglie a Pietraperzia ed iniziò la ricostruzione del castello aggiungendovi un torrione quadrangolare. Alla morte di costui, l’edificio passò nelle mani del suo primogenito Artale, questi a sua volta lo diede al fratello Ughetto e cosi via di generazione in generazione. In questo periodo la cinta muraria del castello viene rafforzata con nuove torri sia quadrangolari che circolari e verso fine secolo Giovanni Antonio Barresi decide la costruzione di un terzo grandioso edificio a poca distanza dal torrione trecentesco. Lo sviluppo del castello avvenne in tre fasi successive, e i lavori ultimati nel 1526 dal marchese Matteo Barresi. Vito Amico sostiene, infatti, che a rendere abitabile la fortezza fu nell'anno 1520 proprio, "Matteo Barresi, primo marchese del medesimo" (Dizionario topografico della Sicilia, Palermo 1855, vol.II). Si tratta di una costruzione di pianta rettangolare ad una quota inferiore rispetto ai precedenti edifici. Nel 1571, con la morte di Pietro Barresi il titolo ed il castello passano alla sorella Dorotea che sposa Giovanni Branciforte, duca di Mazzarino, il cui figlio Fabrizio trasforma l'antica fortezza in quell’ elegantissimo palazzo fortificato che è giunto intatto fino agli inizi di questo secolo. Nel 1605, Stefania Branciforte, erede del titolo e del castello, sposa Giuseppe Lanza, duca di Camastra. Nel Sei e Settecento il castello fu la principesca dimora dei signori che nella zona si preoccuparono di incrementare l'agricoltura e popolare le loro terre con vendite agevolate ad enfiteusi. Anche i Lanza di Trabia, che succedetero ai Branciforte, ebbero cura delle buone condizioni del castello. Nel 1812 , Caterina Branciforte concede al comune di Pietraperzia l’ uso dei piani cantinati dell'edificio come carcere mandamentale: tale utilizzo durerà fino al 1906. Nel 1820, durante i moti il castello viene saccheggiato e privato degli infissi, degli arredi e delle armi della grande armeria. Nel 1837 alcuni locali vengono adibiti a lazzaretto in occasione di epidemie. Nel 1838 il terremoto provoca seri danni alle strutture. 1878: il Comune avanza richiesta ai nuovi proprietari, i principi Lanza di Trabia, per la cessione del complesso monumentale. Nel 1896, il castello viene assalito durante la rivolta dei Fasci dei lavoratori per liberare i detenuti. Nel 1898 - sgombero delle carceri. Nel 1910 - il castello viene nuovamente utilizzato come lazzaretto nel corso di una epidemia di vaiolo. Nel 1912 una commissione tecnica del Genio Civile di Caltanissetta, in seguito ad un sopralluogo, consiglia agli ultimi proprietari, i Lanza di Trabia, l'esecuzione di restauri che non sono stati mai realizzati. Nel 1938 vengono costruite, all'interno e a ridosso del castello, le strutture del serbatoio idrico comunale, provocando un notevole danno architettonico con l'abbattimento di alcune fabbriche antiche e nel 1941 della grande torre. Il maestoso Castello, fino ai primi anni del 1900, si era mantenuto quasi del tutto integro nelle sue diverse componenti architettoniche, poi vari terremoti e la colpevole incuria delle autorità competenti, lo ridussero a poco più di un rudere. Verso la fine del secolo scorso, crollarono un tetto e una parte del muro perimetrale di settentrione. Il materiale con cui molte parti e decorazioni erano costruite, la malta di gesso, era d'altronde molto vulnerabile, assenti ogni cura e manutenzione, all'azione degli agenti atmosferici o del tempo, cosi come scadente era pure la qualità di qualche rifacimento fatto con una rozza tecnica costruttiva. Senza contare, naturalmente, l'opera vandalica degli uomini che negli ultimi decenni hanno scavato dappertutto rovinando strutture murarie, stucchi e affreschi. Solo verso la seconda metà degli anni '80, tra il 1985 e il 1986, si è finalmente intervenuti con lavori di restauro che hanno consentito la scoperta di ambienti e mura prima nascosti permettendo una più chiara lettura dell'edificìo e impedendo il crollo di altri locali pericolanti. Attualmente la proprietà è comunale. Quanto rimane è tuttavia degno della massima attenzione, trattandosi di uno dei maggiori esempi di architettura castellana della Sicilia. Del periodo di grande splendore della famiglia Barresi, nello scorcio del sec. XV con Giovanni Antonio II e Matteo, e nel sec. XVI, culminato con le nozze dell'ultima rappresentante, principessa Dorotea, con il Conte di Castiglia Giovanni Zunica Requens ambasciatore presso la Santa Sede e poi Viceré, c'è testimonianza anche nei rari e preziosi pavimenti in maiolica monocroma blu cobalto su fondo bianco, di provenienza iberica e in parte di fabbrica siciliana. I ruderi architettonici del complesso castellano si trovano ubicati grosso modo in tre collocazioni diverse (caratterizzate da sottostanti antiche escavazioni artificiali) in dipendenza delle diverse epoche in cui sono stati realizzati. Sulla cresta del rilievo roccioso, i resti (ormai scarsi) del primo castello dominano il centro abitato ed un vasto teatro paesaggistico. Gli edifici costruiti nel quattro-cinquecento sono stati raggiunti dall'espansione del centro abitato cancellando cosi i vecchi rapporti di distanza fra il borgo ed il castello.Il rapporto paesaggistico piu integro e suggestivo è quello che si conserva sul versante che guarda Caltanissetta, opposto a quello sul quale si sviluppa il centre abitato. Qui sia le torri medievali, ormai squarciate, sia l'imponente fronte dell'edificio quattrocentesco (con le sue finestre che si aprono nel vuoto) si affacciano su di un ripido e selvaggio declivio costellato da rupi emergenti. Più in basso la mole squadrata del torrione trecentesco ridotto quasi alla metà del sue volume dal crollo di una sua porzione verticale. Parzialmente riconoscibile la cinta con le sue torri circolari. Infine l'unico edificio che si presenta con una riconoscibile planimetria unitaria e regolare: la grandiosa costruzione palazziale quattro-cinquecentesca su una pianta rettangolare oblunga con corte interna a cielo aperto a causa dei crolli che in epoca recente l'hanno ridotta a più monconi. In alcuni ambienti sotterranei, identificabili come prigioni, sono stati di recente rinvenuti interessantissimi graffiti: sono presenti scene di caccia, esecuzioni capitali, forche e patiboli, imbarcazioni, volti e figure umane, scritte, nomi, date (quelle leggibili si concentrano nel XVI secolo), croci, stelle, uccelli. Il fronte nord, di 122 metri ed alto quattro piani, era suddiviso in tre distinte parti che rispecchiavano le diverse epoche di costruzione normanna, sveva e catalana. Numerosissime erano le finestre, alcune delle quali offrivano all’interno, accanto agli stipiti, due sedili in pietra che invitavano a sedersi ad osservare lo stupendo panorama delle valli sottostanti. L’edificio in origine racchiudeva un’area di circa 20.000 metri quadrati. Le mura si estendevano per 1.150 m ed in alcuni punti raggiungevano oltre 4 m. Lungo di esse si elevavano diverse torri e bastioni di cui non e rimasta traccia, ad eccezione dei resti di un torrione merlato detto "Corona del Re" e della Torre quadrangolare dell’ingresso, nonchè di alcuni bastioni a sud e a nord. Al centro, accanto alla "Corona del Re", si erge il "mastio". Questa struttura doveva servire come ultima difesa, era situato sopra la cima del colle ed in parte era stato ricavato nella viva roccia, costituendo così un inespugnabile baluardo di eccezionale robustezza. La porta d’ingresso al castello era rivolta a mezzogiorno, quella del mastio a nord-ovest; ad esse si poteva accedere dal cortile interno tramite gradini ritagliati nella roccia. Sotto al "mastio" sono ancora visibili i gradini, ritagliati nella roccia, che portavano alle prigioni sotterranee, ed alla torre della "Corona del Re" a base ottagonale. Una leggenda vuole che le stanze del castello fossero 365, quanti sono i giorni dell’anno; elevate su quattro piani, quante le stagioni dell’anno, esso aveva 12 torri, tanti quanti sono i mesi. La cappella, ad unica navata, era abbellita con affreschi e da un dipinto raffigurante la Madonna della Catena. Di fronte alla cappella, un portale conduce ad un ampio cortile, un tempo ricco di elementi decorativi [capitelli, bassorilievi, pilastri, colonnine e sculture] che in buona parte furono asportati dai principi Trabia Lanza e trasferiti a Palermo. Al di sotto del salone c'era la sala d'armi, in cui venivano custodite armature di cavalieri e di cavalli, elmi, spade ed alabarde, che, trasferite al Museo di Agrigento, furono saccheggiate dai rivoltosi nel 1820. Come si raggiunge: uscendo dallo svincolo per Pietraperzia dalla strada a scorrimento veloce Caltanissetta-Gela; il suo ingresso e in via Castello o Principessa Deliella 1. Aperto alla visita (Dietro Prenotazione).

Alla Scoperta del nostro passato
Educazione e Avvicinamento ai Beni Culturali
Le Rocche

 
La località denominata Rocche si estende per diversi ettari sul versante sposto a Sud in prossimità della collina su cui sorge Pietraperzia e separata da essa dal “Vallone Calogero”. Questa Contrada risulta ricca di tombe rupestri, vani Pithos e palmenti. In questa area sono da evidenziare due importanti tombe a camera fra le più grandi di tutto il nostro territorio. I frammenti di ceramica rinvenuti nella zona vanno dal periodo Siculo a quello Greco. 

Cuddaru di Crastu (Contrada Tornabè) 


Contrada Tornabè si trova a circa 5 km da Pietraperzia. In una delle colline che caratterizzano la zona è ancora ben visibile un posto fortificato di notevole entità, ricavato dal taglio della roccia e formato da varie camere alle quali si accede per mezzo di gradini intagliati sul fianco della parete calcarea. In questo sito si possono, vedere dei Pithos cioè contenitori di acqua piovana. Numerosi sono i frammenti di ceramica rinvenuti nella zona.

Rancitito 

La contrada denominata Rancitito si estende ad Ovest di Pietraperzia ad 1 km. Di distanza dal centro abitato. Durante un periodo di pulitura della zona è stata evidenziata una Necropoli che conta circa 140 tombe rupestri nonché alcuni palmenti e fondi di capanne. I primi segni di insediamenti risalgono al III millennio a.C.. La maggior parte dei frammenti ceramici ritrovati nella zona sono riconducibili all’Età Castellucciana. Esenti diversi stili architettonici che vedono associati elementi Normanni con forme Aragonesi-Catalane in una ricercatezza decorativa molto armoniosa.

Palazzo del Governatore


Il Palazzo del Governatore sorge nel nucleo più antico dell’abitato di Pietraperzia occupando l’angolo inferiore di un più vasto isolato che si origina in corrispondenza dell’accesso (Via Barone Tortorici). Si può ammirare la balconata sorretta da 15 mensole dove sono scolpite figure allegoriche e convergenti tutti verso il centro. L’ingresso presenta dei resti di colonne in parte ricoperti e uniti fra loro da muratura.

Chiesa del Carmine


La Chiesa del Carmine fu costruita intorno al 1300 insieme al convento adiacente. Fu abitato dai Padri Carmelitani fino all’anno 1667. Le linee architettoniche semplici fanno di questa Chiesa una delle più caratteristiche.

Chiesa del Rosario 


Campanile della Chiesa del Rosario

Costruita alla fine del 400 inizio 500 per volontà del Marchese Barresi. La Chiesa fu affidata nell’anno 1521, con il convento (che oggi ospita il Municipio) ai Frati Domenicani e da essi dedicata alla Madonna del Rosario. La Chiesa in senso planimetrico è a croce greca con altare Maggiore al centro, nei bracci laterali altri due Altari uno dedicato al Crocifisso l’altro all’Annunziata.

Chiesa Santa Maria di Gesù


Interno Chiesa Santa Maria di Gesù

Interno del Chiosco Santa Maria di Gesù

Questo convento sorge nel 1636 grazie ad un lascito da parte delle sorelle Santigliano. Il Convento ricopre una vasta area e durante i suoi 250 anni di vita si arricchì di molti beni ed opere d’arte: una biblioteca con oltre 12000 volumi, quadri, mobili, ed arredi sacri. Il convento comprende due piani più un piano terra che fungeva di cimitero. Lungo le pareti del Chiostro si potevano osservare le pitture che riportavano leggende della vita dei Frati Francescani. Nel piano superiore c’erano le varie celle e la biblioteca. Al centro del Chiostro si può vedere la cisterna per la raccolta delle acque piovane.

Chiesa di San Rocco


Inizialmente dedicata all'Immacolata Concezione cambiò nome quando, nel 1635, non è certo se dal Principe Fabrizio o da Francesco Branciforti, venne onorata ed arricchita delle Sacre Reliquie di S. Rocco che divenne Patrono della città, La chiesa segnava il limite del territorio posseduto dai Padri Fracescani che, allora, ne avevano la cura essendo rettori della Chiesa. All'interno di essa troviamo delle splendide sculture lignee quali, quelle di S. Sebastíano e dell'Immacolata, di fattura tardo medievale. Recentemente la chiesa è stata ristrutturata cambiando completamente quello che era l'aspetto iniziale. La facciata è stata eseguita da uno scalpellino locale di nome Matteo Di Natale, lo stile è neoclassico, un pò eclettico.

Chiesa di San Giuseppe

 

Campana Chiesa San Giuseppe

Probabilmente è stata eretta intorno al 1245 e parecchie volte è stata ristrutturata. Un primo altare è dedicato alla Madonna della Mercede, di cui ancora ne esiste ed è in buone condizioni, il quadro. Il secondo altare è dedicato a S. Isidoro, protettore degli animali e fu donato dal Barone Giarrizzo. Il 19 marzo di ogni anno si svolge la tradizionale festa di S. Giuseppe. E' una festa locale piena di folklore religioso pieno di grande effetto. Figure umane dietro un voto religioso rappresentano S. Giuseppe, la Madonna, il Bambino e l'Angelo; a questi personaggi si aggiungono altri tre personaggi fissi, che rappresentano tre guardie di Erode. Nello spiazzo della Matrice viene imbandita una tavola con pietanze tipiche, del giorno che vengono portate dal popolo per voto religioso. Dalla Chiesa S. Maria di Gesù vengono in processione S. Giuseppe, la Madonna sopra l'asinello con il bambino e l'Angelo, accompagnati dalla musica e dal popolo; arrivati nello spiazzo della Matrice vengono fermati dalla guardia di Erode e qui segue una disputa fra i soldati e l'Angelo che difende la Sacra Famiglia; la disputa si conclude con la conversione delle guardie che onorano la Sacra Famiglia e la lasciano passare. Subito dopo segue la benedizione da parte del Bambino alla tavola; momento particolare della festa sia come folklore che come significato mistico "perché in questo viene simboleggiata la benedizione da parte di Dio per il cibo che dà al popolo fedele". La sera vengono portati in processione la statua di S. Giuseppe e il Bambino. La festa è interamente organizzata dalla commissione dei falegnami.

Edifici Civili 

 Palazzo Barone Tortorici prospetto da Via San Nicolò

Palazzo Barone Tortorici prospetto da Piazza Matteotti

Interessanti anche gli edifici civili, tra i quali il Palazzo della Principessa Deliella il cui progetto pare da attribuire al maggiore architetto del liberty palermitano Ernesto Basile. In stile neoclassico con rilievi in pietra arenaria rossa con balconi retti da mensoloni scolpiti con motivi antropornorfi. Il Palazzo Barone Tortorici, in stile falso gotico, anch'esso progettato dal Basile, presenta forme archittetoniche di grande interesse scenografico. Una armoniosa architettura ottocentesca offre anche il Palazzo Bonaffini noto anche come "La caserma vecchia".


1 commento:

  1. Complimenti per il blog! Quanti ricordi...Era il paese della mia nonna materna (che ora a 92 anni si è trasferita vicino a una delle sue figlie), la sua casa era proprio vicino alla piazza

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